poltrone rosse del cinema

Le origini del cinema (Madame Veronique Bouchard)

Tratto dalle memorie private di Madame Veronique Bouchard

Ricordo ancora con grande emozione il Salon Indien del Grand Cafè di Parigi. Era il 28 dicembre del 1895 e il mio caro marito Jacques decise di portare me e i bambini a vedere le meraviglie del Cinematografo Lumiere. Alcuni mesi prima, presso la Societè d’encouragement pour l’industrie nationale, si era tenuta una proiezione per pochi invitati. Nessuno oltre ai presenti a quell’evento aveva mai visto cosa era in grado di fare la macchina dei Lumiere.

Mio marito, noto banchiere parigino, era stato invitato ad assistere a quella dimostrazione, ma gli impegni lavorativi non gli avevano permesso di essere presente. La sera del 28 però volle esserci a tutti i costi, in quella che era la prima vera proiezione a pagamento di quella strana scoperta. Il nostro autista ci fermò al n.14 del Boulevard des Capucines e quando entrammo nel Grand Cafè, pagammo i biglietti e ci accomodammo nei posti migliori, quelli appena dietro le autorità.

Ogni volta che mi voltavo per salutare le altre mogli presenti nella sala, sorridevo soddisfatta, non a tutte era capitato di sposare un uomo prestigioso come Jacques. Appena tutto fu pronto e il buio calò nella sala, restammo incantati davanti a quelle immagini che prendevano vita. Il piccolo David chiuse gli occhi e non guardò nulla, ciò che era davanti a quello schermo lo spaventava. Yvonne invece, con il suo carattere forte ereditato da mia madre, non si perse un quadro. Devo ammettere che anch’io all’inizio ebbi un fremito. Strinsi il braccio del mio Jacques e appena la proiezione terminò ebbi subito la sensazione che avrei voluto vedere altre pellicole e capire tutti i segreti di quella nuova magia moderna. Fu così che, quella sera stessa, sfruttando le conoscenze di mio marito, mi furono presentati i fratelli Louis e Auguste Lumiere. Nel corso dei tre anni successivi mi ritrovai spesso a discutere con loro in diverse occasioni mondane. Ogni volta che ci incontravamo, m’interessavo al loro lavoro così bizzarro e affascinante.

Tutto era cominciato nel 1881 quando Antoine, il padre di Louis e Auguste, aveva fondato la Societè Lumiere per produrre e vendere lastre e carte fotografiche. Quando nel 1891 il geniale inventore americano Edison aveva brevettato il suo Kinetoscope, Louis Lumiere attirato dalle incredibili capacità di quell’apparecchio di realizzare e mostrare immagini in movimento, dopo diverse ricerche ed esperimenti, riuscì a perfezionare il lavoro che aveva cominciato Edison e in quel fatidico 1895 assieme al fratello Auguste aveva brevettato il Cinematografo.

La sera della proiezione al Grand Cafè, quando Jacques ed io fummo accompagnati da un suo amico, un certo Avvocato Valenciennes, a stringere la mano ai Lumiere, Louis era impegnato a parlare con diversi appassionati di fotografia e meccanica e ci teneva molto a spiegare le differenze tra la sua macchina e quella di Edison. Non prestai molta attenzione ai dettagli tecnici, i bambini volevano tornare a casa e cercavo di tenerli buoni ed evitare che dessero un’impressione errata dell’educazione impeccabile che avevano ricevuto in famiglia. Yvonne, decise di aiutarmi a calmare David in cambio di un bel gelato al gusto di fragola e panna. Raccontò una storiella al suo fratellino che lentamente dimenticò ogni capriccio. Qualche tempo dopo, quando rividi i Lumiere durante un’altra proiezione, mi spiegarono che il cinematografo era un apparecchio molto leggero, poteva essere trasportato ovunque e realizzare diversi compiti contemporaneamente, registrare immagini su pellicola di celluloide, stampare le copie e proiettarle su uno schermo. Alcuni dipendenti della ditta Lumiere, dopo aver appreso i segreti di quella macchina, erano andati in giro per il mondo a recuperare immagini da aggiungere al catalogo di proiezioni che i due fratelli vendevano.

Ognuno di quei film mi permetteva di viaggiare restando seduta in poltrona. Potevo ammirare le vedute delle città più belle, le incoronazioni dei re, le scene di vita quotidiana delle famiglie reali, piccoli spettacoli di danza, parate militari e tutto quello che le metropoli del vecchio continente potevano offrire a quell’epoca: strade affollate, tram, treni in corsa e monumenti meravigliosi. Il suono di un piano o di una piccola orchestra accompagnava quei viaggi immaginari. Jacques ed io frequentavamo sia il Grand Cafè che la sala degli spettacoli dei grandi Magazzini Dufayel, ma a Parigi il Cinematografo era parte degli intrattenimenti di diversi teatri, caffè chantant, o varietà.

Una delle nostre cameriere, la giovane Marie, mi parlava spesso delle fiere, dei luna park e dei baracconi, dove il suo ragazzo, operaio in una fabbrica di automobili la portava a vedere diverse pellicole. Non erano luoghi adatti a persone del nostro rango elevato, ma vedendo il volto sorridente di Marie, in un certo senso, ero anch’io soddisfatta. Un’invenzione come il Cinematografo non allietava solo noi borghesi.

Le ditte ambulanti giravano per il paese mostrando spettacoli che anche la plebe poteva apprezzare. Nel 1897, appena tre anni dopo quella splendida serata al Grand Cafè, i Lumiere decisero di vendere i loro apparecchi e il catalogo delle loro riprese, la concorrenza spietata e lo scarso interesse nel continuare l’avventura cinematografica li avevano spinti a tornare al vecchio amore per la fotografia. Inizialmente fui molto triste per questa notizia, presto però, mi accorsi che il Cinematografo era una forma di svago che poteva offrire ancora tanti momenti di allegria. In quello stesso anno, un eccentrico artista chiamato Georges Méliès aveva fondato la Star Film. Méliès era il proprietario del Theatre Robert-Houdin, dove realizzava con la sua compagnia spettacoli di magia e arte circense. Jacques ed io portavamo spesso i bambini a vedere quel tipo d’intrattenimenti. In realtà preferivamo il Theatre du Chatelet che era molto più importante e prestigioso, ma i trucchi e le gag di Méliès piacevano molto ai miei figli. Il suo repertorio teatrale e le sue abilità come mago erano esaltate in maniera perfetta dal Cinematografo.

Quando nel 1902 realizzò Voyage dans la Lune, provai la sensazione ipnotica di essere finita in un mondo irreale, pieno d’immagini fantastiche ispirate ai racconti del grande Jules Verne. Mio marito Jacques non aveva un animo poetico come il mio, essendo un banchiere, era un uomo pratico e concreto e quando seppe che Méliès aveva speso ben 10.000 franchi per realizzare quel film ritenne che quel denaro potesse essere usato per ben altri investimenti.

Non ero d’accordo con le sue idee, realizzare sogni così belli come le pellicole di Méliès non aveva prezzo. Poiché ammiravo molto il lavoro di quell’artista, Jacques decise di farmi un regalo speciale. Un giorno mi portò a Montreuil, lì dove Méliès aveva costruito un teatro di posa ispirato agli atelier fotografici.

Mio marito aveva pagato il custode del luogo per farci entrare all’insaputa di Méliès e spiegarci i segreti delle pellicole che erano realizzate in quel posto. Nessuno in Francia usava una struttura simile per girare film, il custode ci raccontò che in America, a West Orange, esisteva il Black Maria, un progetto molto simile che Edison aveva fatto costruire qualche anno prima. Il teatro di Méliès era una specie di gabbia di vetro illuminata da luce naturale che permetteva di girare anche in condizioni climatiche sfavorevoli. Al suo interno vi era un lato dove erano sistemate le scenografie e si muovevano gli attori e un lato dove era posta la cabina per le riprese.

Camminare tra i costumi, i trucchi e le attrezzature usate da Méliès mi faceva sentire come Alice nel paese delle meraviglie. Per molti anni fui una delle spettatrici più assidue di quelle opere fantastiche. Nel 1910 quando la Star Film interruppe le sue produzioni perché il pubblico le riteneva antiquate, Méliès firmò un accordo con Charles Pathè il produttore più importante del cinema francese, ma i film che realizzarono insieme furono veri disastri e portarono al fallimento un uomo visionario che aveva donato a me e a tante altre persone storie e immagini indimenticabili. Agli albori di questo 1913 non oso immaginare quali nuovi prodigi potrà regalarci il Cinematografo e questa nostra “belle époque”.

Le invenzioni si susseguono giorno dopo giorno, le locomotive e le automobili diventano sempre più veloci, da qualche anno il telefono permette alle persone di comunicare a distanza e la radio ci allieta con la sua musica. Ferdinand Von Zeppelin, i fratelli Wright e Louis Bleriot, degni eredi del sogno di Icaro e di Leonardo da Vinci, hanno compiuto imprese incredibili permettendo all’uomo di volare e guardare dall’alto della sua grandezza un mondo sempre più moderno e civile. Mentre la nostra Francia diviene il faro di paesi sottosviluppati e tribali come quelli africani, qui da noi il benessere si diffonde, le vetrine dei negozi e i grandi magazzini espongono prodotti sempre più accattivanti. Parigi, colorata dalle insegne pubblicitarie, sembra sempre più luminosa e sicura.

I sovversivi che incitavano la plebe alla rivolta appena pochi anni fa, vengono individuati e repressi dai nostri abili governanti e dai nostri baldi giovani in divisa. Da bambina ricordo le apprensioni di mia madre per la guerra tra la nostra amata Francia e la Prussia, ma il 1870 sembra un’altra epoca rispetto a questi primi anni del 900, dove tutto sembra possibile, anche una pace che duri per sempre. Sì, ne sono più che sicura. Il futuro dei popoli d’Europa, appare sempre più roseo